di Giordano Lizzola
Siamo la stessa comunità
Viaggiare significa intraprendere un cammino di ricerca, di scoperta, spinto da una motivazione. Ciò che si apprende in questo cammino ci caratterizzerà per sempre: il viaggio aggiunge tasselli di vita altrui alla nostra.
Il viaggio che abbiamo intrapreso sul tema della legalità penso che di “tasselli” ne abbia aggiunti molti alla vita dei partecipanti. Per chi come me mastica la Costituzione e crede nei suoi principi, Napoli non è abitata da “terroni”, ma da cittadini italiani troppo spesso trascurati e non valorizzati. Trascurati a tal punto che la Camorra ha sostituito lo Stato nel suo ruolo di controllo. La Camorra è il male che distorce i valori comuni con la sua presenza.
Uno fra tutti il valore della famiglia, visibilmente corrotto in ambienti come le vele di Scampia. In quegli enormi palazzi disumani ognuno tutela i propri interessi, ognuno deve difendere la propria famiglia. Manca uno spazio comune in cui possano prevalere le relazioni, le parole buone. L’unico spazio comune è il degrado: tubi rotti, perdite di acqua e di gas ovunque, immondizia, prati che da verdi diventano bianchi e blu, dove il bianco e il blu sono i colori delle confezioni delle siringhe.
Viaggiare a Napoli significa tante cose. Innanzi tutto significa essere viaggiatori in un contesto dove il viaggio non è nemmeno contemplato: la Camorra offre tutto il necessario alla vita, sempre che si possa definire tale.
Significa prendere coscienza del fatto che si hanno molti pregiudizi, perché noi stessi venendo dal “Nord” apparteniamo ad un sistema chiuso che ci fa sentire superiori, mentre siamo italiani tali e quali a loro. Questo rapporto di uguaglianza potrebbe essere meravigliosamente bello e prolifico, ma resterà senz’altro utopico finché si permetterà lo stanziamento delle mafie anche al nord (e non mi soffermo sul voto di scambio, sugli arresti, sui processi “‘Nduja” e “Infinito” perché mi occorrerebbero infinite pagine).
Ma significa anche scoprire che in una realtà così stereotipizzata possano nascere idee fresche e vitali, idee di speranza. Idee che sorgono in chi prova a viaggiare, tentando di superare le “colonne d’Ercole” del sistema camorristico (‘O Sistema per gli aficionados). Purtroppo sono viaggi individuali, nessuno ti aiuta se non la tua volontà, la tua voglia di scoprire la vita.
Sono i viaggi di Davide Cerullo, di Alex Zanotelli, di Aniello Manganiello, di Francesca Gennari, di tutte le belle persone che abbiamo incontrato. Testimonianze di umanità che mostrano come la vita cerchi ogni appiglio possibile per sorreggersi.
Nei prati pieni di siringhe c’è un campetto sterrato dove giocano i bambini delle vele che hanno giocato anche con noi. Abbiamo mangiato con le loro famiglie (ricordo ancora le mozzarelle, in particolare), bellissime persone che ci hanno dato molto senza chiederci nulla in cambio, se non fare testimonianza della loro voglia di vivere e della loro straordinaria accoglienza, fatta di abbracci, di baci, di belle parole, sicuramente priva di pregiudizi.
Senza dubbio un viaggio pieno di contrasti, discrepanze, contraddizioni. Ci sono moltissime domande che ci siamo portati indietro perché è molto difficile comprendere ciò che esula dalla nostra forma mentis. Rimangono impressioni da rielaborare, il viaggio non è ancora finito. La mafia nasconde, confonde, crea ambiguità, illusioni, dubbi. È una maschera di ferro che imprigiona una faccia sfigurata da espressioni sofferenti. Eppure qualcuno ha aperto una fessura in quella maschera opprimente e ha intravisto la bellezza.
Quello che mi rimane al ritorno, come ad altri di noi, è la volontà di allargare questa fessura. Dobbiamo tenere vive le motivazioni che le persone ci hanno dato e trasformarla in azioni utili.
Per questo sta già prendendo piede un progetto nel nostro territorio che prevede varie iniziative volte alla raccolta di fondi per la creazione di uno spazio di aggregazione giovanile alle vele di Scampia, nella cosiddetta “torre bianca”.
Le due domande che campeggiano nella mia mente sono: “dove c’è vita c’è speranza?” e: “se c’è speranza, va coltivata?”. Le due risposte che campeggiano nella mia mente sono “si” e “si”.