Bergamo, 13 Maggio 2014 | di Rocco Artifoni
PROPOSTE PER UN FISCO PIÙ EQUO E SOLIDALE
1) Modificare l’imposta di successione, introducendo aliquote basate sul criterio di progressività
Luigi Einaudi scriveva che “esiste l’esigenza di non creare un privilegio a favore di chi non ha fatto nulla, di chi si contenta di godere nell’ozio la fortuna ereditata”. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro (art. 1 Costituzione), non sull’ozio e sulla fatica altrui. Infatti, ogni cittadino ha il dovere di svolgere un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Costituzione).
Attualmente le aliquote dell’imposta sulla successione ereditaria sono soltanto tre, in base al grado di parentela: 4%, 6% e 8%. Per i parenti più stretti è stabilita una franchigia di 1 milione di euro. È evidente che si tratta di un’imposta che si applica sostanzialmente per patrimoni alti e con aliquote basse: anche il pane è tassato al 4% e senza franchigia. Inoltre, la differenziazione delle aliquote è soltanto per grado di parentela e non per scaglioni di patrimonio: di fatto si tratta di una imposta proporzionale, in palese contrasto con l’art. 53 della Costituzione.
2) Istituire un’imposta patrimoniale straordinaria basata su aliquote personali congrue
L’Italia ha un debito pubblico di oltre 2.000 miliardi di euro, ma gli italiani hanno un patrimonio di oltre 8.000 miliardi di euro. Luigi Einaudi scriveva che l’imposta straordinaria sul patrimonio deve essere utilizzata “ad intervalli rarissimi per mettere una pietra tombale sul passato”. In Italia – come è noto – è presente un’economia sommersa, illecita e criminale di notevole consistenza, che non contribuisce alle spese comuni. Si potrebbe stabilire per ciascun titolare di un patrimonio un’imposta determinata da un’aliquota personale, mettendo a confronto il patrimonio con i redditi dichiarati al fisco negli ultimi decenni (dati già presenti nell’anagrafe tributaria). Chi risulta congruo, non deve pagare nulla, poiché ha già contribuito in modo equo con la tassazione ordinaria. Più un contribuente risulta incongruo e non è in grado di giustificare il possesso del patrimonio, più deve essere alta l’aliquota dell’imposta, ovviamente facendo sempre riferimento al criterio di progressività.
3) Diminuire le aliquote IVA, in particolare quella ordinaria
Le imposte sui consumi sono formalmente proporzionali e di fatto regressive. Nell’Assemblea Costituente l’on. Salvatore Scoca, relatore per l’art. 53, spiegò che le tasse sui beni di consumo “attuano una progressione a rovescio, in quanto, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure proporzionale, ma in senso regressivo che per una Costituzione come la nostra che vuole essere di equità sociale, fiscale e di solidarietà rappresenta una grave ingiustizia a danno delle classi più povere, questa ingiustizia deve essere eliminata in sede di accertamento del reddito globale personale”. All’entrata in vigore, il 1º gennaio 1973, l’aliquota ordinaria dell’IVA, quella applicabile alla maggior parte di beni o servizi, era il 12%. Nel corso del tempo questa aliquota è stata più volte aumentata fino ad arrivare al 22% attuale. Un’imposta così alta è palesemente iniqua, oltre alla tendenza a far crescere la propensione ad evaderla con pagamenti non contabilizzati, mentre un’imposta più bassa favorirebbe i consumi. Un’aliquota più elevata potrebbe essere reintrodotta per le merci inquinanti o di lusso.
4) Eliminare le tassazioni separate e cumulare tutti i redditi in un’unica base imponibile
L’imposizione progressiva sui redditi viene svuotata da tassazioni separate proporzionali o addirittura forfetarie per varie tipologie di reddito. Luigi Einaudi scriveva: “Semplificare il groviglio delle imposte sul reddito è la condizione essenziale affinché gli accertamenti cessino di essere un inganno, anzi una farsa. Oggi la frode è provocata dalla legge”. Che le rendite finanziarie siano tassate meno del reddito da lavoro è un’evidente assurdità. Pertanto, è necessario che tutti i redditi, da qualsiasi fonte provengano, vengano sommati e così contribuiscano a determinare la reale base imponibile, senza eccezioni. In questo modo si possono eliminare i privilegi di alcune categorie di contribuenti.
5) Tassare il reddito netto, cioè aumentare la deducibilità delle spese, soprattutto quelle necessarie
Per le imprese viene tassato l’utile, cioè la differenza tra entrate (fatture emesse) e uscite (spese sostenute). Per le persone fisiche – invece – si tassano le entrate (reddito), consentendo soltanto alcune deduzioni e detrazioni. In questo modo si attua una doppia imposizione: un’imposta sul reddito e poi una successiva sui consumi. Il problema era già ben chiaro ai Costituenti. L’on Scoca il 23 maggio 1947 in Assemblea Costituente disse: “Non si può negare che il cittadino, prima di essere chiamato a corrispondere una quota parte della sua ricchezza allo Stato, per la soddisfazione dei bisogni pubblici, deve soddisfare i bisogni elementari di vita suoi propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico, deve provvedere”. Soltanto con l’aumento della deducibilità delle spese si può stabilire la reale “capacità contributiva” (art. 53 Cost.), cioè la base imponibile della tassazione. Oggi l’acquisto del pane non è deducibile né detraibile, come se i contribuenti non dovessero mangiare. L’aumento della deducibilità è anche un’azione di contrasto all’evasione fiscale, poiché crea di fatto e automaticamente un conflitto di interessi tra fornitore e cliente. L’utilizzo di una fiscal-card per gli acquisti semplificherebbe gli adempimenti e faciliterebbe i controlli fiscali.
6) Introdurre un’aliquota variabile sul reddito imponibile basata su una seria progressività
In applicazione dell’art. 53 della Costituzione la legge 825 del 1971 introdusse 32 scaglioni di reddito con aliquote variabili dal 10% al 72%. Oggi sono previste soltanto 5 aliquote tra il 23% e il 43%. È evidente come la progressività sia stata fortemente compressa e compromessa. Come hanno scritto gli alunni di Barbiana, fare parti uguali tra diseguali è la più odiosa della ingiustizie. È necessario ritornare ad un’imposizione fiscale fortemente progressiva, cioè differenziata per redditi. Si potrebbe ripristinare una struttura fiscale analoga a quella degli anni ’70. O meglio, utilizzando una semplice equazione matematica, è possibile correlare il reddito netto all’aliquota da tassare. In questo modo più aumenta il reddito più si alza l’aliquota applicabile alla base imponibile.
Nota aggiuntiva
Per realizzare queste proposte è necessario un adeguato consenso democratico, che passa anche per il voto. Pertanto, è fondamentale dare piena attuazione alle limitazioni al diritto di voto previste dall’art. 48 della Costituzione. Il dovere inderogabile della solidarietà (art. 2 Cost.) implica che le decisioni sulla tassazione non possano essere prese da chi non contribuisce al bene comune o addirittura crea danno. Pertanto, non dovrebbero esercitare il diritto di voto (e tanto meno potersi candidare alle elezioni) coloro che non hanno capacità civica, sia moralmente indegni o siano stati condannati in modo definitivo. La conoscenza e il rispetto della Costituzione (art. 54 Cost.) sono il presupposto indispensabile per poter esprimere la solidarietà politica (art. 2 Cost.) anche attraverso il voto.